Il primo razzismo è quello contro le donne
Sembra che in Italia ci si accorga delle donne solo quando si discute di 194- per lo più allo scopo di rendere sempre più difficoltosa la scelta di abortire – o quando vengono stuprate negli spazi pubblici, cioè nel minor numero dei casi di violenza, che come tutti sanno avvengono per la massima parte in famiglia.
E quando si tratta di bassi salari, precariato, mancanza di assistenza sanitaria, all’infanzia e agli anziani, si parla sempre di “famiglia”, come se questa fosse un soggetto identificabile, senza pensare che la famiglia è un insieme di soggetti concreti, all’interno dei quali chi da sempre tira la carretta ed a cui ci si dovrebbe rivolgere sono le donne. Dal 1948 l’art.37 della nostra Costituzione assegna alle donne “l’essenziale funzione famigliare” e sembra che a tutti vada bene così. Le donne non scioperano,non potendo lasciare figli, genitori e suoceri senza assistenza, continuano a svolgere il lavoro di cura necessario e, se ce la fanno ed a loro viene concesso, a lavorare fuori di casa, coprendo faticosamente le carenze dell’assistenza pubblica. L’unico sciopero a loro possibile – quello dell’utero, come era stato efficacemente definito a cavallo del ‘900 prima in Francia e poi in Germania – viene largamente praticato da anni, con il risultato che siamo il paese europeo con il più basso tasso di natalità a fronte della più alta percentuale di anziani. Questo non è solo un fatto che renderà sempre più difficile mantenere un paese con una piramide demografica sostanzialmente rovesciata, ma è un diritto negato alle donne italiane che, secondo l’indagine ISTAT “Essere madri in Italia” del 2005, hanno un desiderio di maternità di 2,2 figli a fronte di un numero reale di 1,24 per donna (l’ 1.34% del 2007 è dovuto alle donne straniere, che hanno un maggiore tasso di natalità). L’indagine ISTAT informa inoltre che le donne desiderano, prima di avere il primo figlio, un lavoro corrispondente alla propria formazione e che permetta una autosufficienza economica di livello almeno decente.
Il risultato è che la prima gravidanza avviene sempre più tardi – e in molti casi è troppo tardi e si ricorre sempre più spesso alla fecondazione assistita con tutte le difficoltà e gli effetti negativi che essa comporta- o non ci si arriva affatto. Comunque generalmente ci si ferma al figlio unico, cosa che non corrisponde al desiderio ed è un problema sociale (anche scolastico, come sanno gli insegnanti alle prese con principini viziati cui i genitori in caso di conflitto scolastico danno a priori ragione).
Che cosa si pensa di fare per permettere alle donne di essere ufficialmente occupate secondo la loro qualificazione? Nulla, nel discorso sulle priorità programmatiche del Presidente del Consiglio non ce n’è accenno. Stupisce che si parli sempre più spesso di meritocrazia: il fatto che le donne – più brave a scuola, laureate in maggior numero in tempi più brevi e con voti più alti- vengano tuttora discriminate nel mercato del lavoro, perché madri o – più spesso – solo perché a rischio di gravidanza e di lavoro di cura, non interessa né la politica né i media. Tra i 25 e i 35 anni una donna su due è precaria, così si evita il rischio di pagarle una gravidanza. Abbiamo un tasso di occupazione femminile tra i più bassi d’Europa e molte donne devono smettere di lavorare per occuparsi di famigliari anziani- giustamente ripagando così l’aiuto ricevuto da loro nell’assistenza ai figli piccoli, dato che le strutture pubbliche o sono carenti o non pagabili. L’attuale pratica di tacita tolleranza di badanti e colf straniere- la cui permanenza in Italia non è se non in minima parte legalizzata- origina rapporti tra datrici di lavoro a rischio di essere denunciate e lavoratrici senza alcuna tutela legale, basati su accordi privati e potenzialmente conflittuali. In questo modo lo stato non paga una lira e scarica spese e rischi sulle donne italiane e straniere, che solo all’interno di un sistema di assistenza pubblica potrebbero sviluppare adeguati rapporti di solidarietà. Il ministro Brunetta ha mai pensato che una parte dell’assenteismo nell’impiego pubblico è dovuto al carico famigliare delle donne italiane, che i dati confermano come il più alto in numero di ore lavorative settimanali, sempre in confronto europeo?
- La reale libertà nelle scelte procreative – se, quando e quanti figli avere- dovrebbe essere un diritto, almeno nei propositi, che un paese decente dovrebbe cercare di garantire, provvedendo a misure opportune, che mirino a ridurre la penalizzazione delle donne nelle possibilità di lavoro e di carriera. Un minore carico di lavoro famigliare permetterebbe loro anche una partecipazione politica con una presenza sufficientemente forte, da poter introdurre nel dibattito pubblico i temi del privato, che sono di urgente valenza politica
- Chiediamo di: Modificare l’art.37 della Costituzione, dove recita:
… La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.”Le condizioni di lavoro devono consentirne l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
Si propone di abolire la seconda frase e di sostituirla con:
“La Repubblica si propone di rimuovere tutti gli ostacoli, da cui derivino svantaggi formativi e professionali della donna a causa delle sue scelte procreative e si impegna a garantirle la piena libertà dei suoi progetti di vita, fermo restando la speciale protezione assicurata alla madre ed al bambino”.
Questa modifica ci sembra necessaria ad avviare un dibattito sulla divisione dei ruoli famigliari e sociali, che vanno assolutamente ripensati. È sulla loro ridistribuzione che si deve basare un’organizzazione della società adatta a rispondere alle necessità attuali per una crescita equilibrata del paese. Ovviamente una modifica della Costituzione implica una legislazione corrispondente.
Proponiamo di:
- Cercare misure opportune a rendere anche gli uomini a rischio di paternità e lavoro di cura (attualmente in Germania si danno incentivi economici, se gli uomini usufruiscono di due mesi di congedo dopo la nascita di un figlio, se no decadono. Il risultato è che il numero dei congedi maschili è triplicato. In Islanda, dove la natalità è di due figli a donna, il 90% degli uomini usufruiscono dei congedi parentali) Solo così si ha la possibilità che le persone vengano assunte e facciano carriera per merito e non per l’appartenenza sessuale.
- Incoraggiare e favorire ditte e imprese che assumano donne, promuovano orari flessibili, introducano misure di assistenza interna per bambini piccoli, intensifichino l’uso di telelavoro e di banche(accumulo)-ore di-lavoro risparmiate per periodi di particolare impegno famigliare. Pensiamo a concorsi a premi, tassazione favorevole, punteggio più alto nelle gare pubbliche.
- Fare un piano di stanziamento di fondi per promuovere strutture di assistenza all’infanzia – asili nido pagabili- ed agli anziani soli o bisognosi di cura continua, come nei casi di Alzheimer o demenza senile in stadio avanzato. Per questi ultimi – che aumenteranno sempre di più, in Germania oggi sono un milione e si calcola che a breve termine raddoppieranno- le badanti non possono essere la risorsa che sostituisce le carenze dello Stato, a meno che siano inserite in un sistema assistenziale pubblico, che regoli orari e carichi di lavoro. A questo scopo e per motivi di elementare giustizia, la loro permanenza, come quella di tutti gli stranieri che contribuiscono alla crescita del paese, deve essere legalizzata.
- Istituire corsi di formazione per volontari di ambedue i sessi, che li rendano in grado di assistere temporaneamente e in maniera qualificata malati, anziani e bambini piccoli. Si pensa a persone pensionate da poco, a cui comunque venga ufficialmente riconosciuto questo servizio alla comunità, per poter almeno scaricare le spese necessarie.(iniziativa proposta in Germania dalla ministra Von der Leyen, che ha sette figli ed ora vive con tutta la famiglia a casa del padre malato di Alzheimer Ernst Albrecht, già presidente dei ministri nello Schleswig-Holstein)
Se di tutto ciò non si farà tema di dibattito pubblico e di esame parlamentare, le associazioni delle donne non avranno altra alternativa che scendere in piazza.